In questa sessione del Consiglio nazionale sono stati all’ordine del giorno ben otto punti relativi alla gestione delle PFAS. Dopo che, lo scorso anno, varie aziende agricole del Canton San Gallo non sono state autorizzate a vendere carne bovina a causa dei valori di PFAS troppo elevati, la politica si è attivata. Mentre consumatori e fornitori di acqua potabile attendono una migliore tutela delle risorse ormai da anni, quando è in gioco l’agricoltura improvvisamente tutto diventa più rapido. Questo la dice lunga anche sulle priorità dell’attuale maggioranza del Palazzo federale. Non c’è quindi da stupirsi che la mozione Egger, che chiedeva alla Confederazione misure per garantire il sostentamento delle aziende agricole interessate dalle PFAS, sia stata accolta con grande favore. Sono state accolte anche le mozioni Würth e Rechsteiner, che proponevano di stabilire i valori limite delle PFAS per l’acqua potabile in modo da soddisfare i requisiti dell’agricoltura. In particolare, i fornitori di acqua devono garantire che i bovini non assorbano concentrazioni eccessive di PFAS dall’acqua potabile. Pertanto, i valori massimi di PFAS nell’acqua potabile in Svizzera devono essere inferiori a quelli dell’UE. Al contempo, il Parlamento si è opposto alla limitazione delle PFAS agli usi essenziali e alla loro graduale riduzione. Mentre per i livelli massimi nell’acqua potabile si punta a una regolamentazione autonoma, per la limitazione delle PFAS si rimane in attesa delle disposizioni dell’UE. È vero che il problema può essere risolto solo con un impegno a livello internazionale paragonabile a quello per il divieto dei CFC, tuttavia la Svizzera ha rinunciato a imporre il divieto di questo gruppo di sostanze per usi non essenziali, come invece richiesto dalla SVGW. Il Consiglio nazionale ha stabilito solo l’obbligo di dichiarazione, quindi le consumatrici e i consumatori dovranno ponderare le proprie decisioni d’acquisto. Il Consiglio nazionale ha però totalmente ignorato il principio del «chi inquina paga», rifiutando di imporre una tassa sulle PFAS. È stata invece accolta la mozione Silberschmidt, che mirava a promuovere «sostanze chimiche sicure e sostenibili». A quanto pare occorre un incentivo statale affinché i produttori non sviluppino sostanze chimiche non sicure e non sostenibili. Eppure finora nessun produttore abbia mai pubblicizzato i propri prodotti chimici come tali.
Con le sue decisioni, il Parlamento affronta le conseguenze della contaminazione da PFAS, ma non le cause. Invece di impedire che queste sostanze contaminino l’ambiente, impone ai fornitori idrici l’adozione di misure tecniche per eliminarli dall’acqua potabile. E non lo fa per tutelare consumatrici e consumatori, ma per evitare che i bovini assorbano quantità eccessive di PFAS attraverso l’acqua potabile e che, di conseguenza, la carne non possa più essere venduta a causa del superamento dei valori massimi stabiliti. Nonostante ora anche le aziende agricole siano direttamente interessate dagli effetti delle PFAS sull’ambiente, non c’è stato alcun cambiamento di orientamento nella politica. Al contrario, il Parlamento ha scelto di «metterci una pezza», invece di risolvere il problema alla radice. La domanda è sempre la stessa: quando smetterà la politica di favorire i singoli gruppi di interesse e inizierà finalmente a mettersi al servizio della popolazione?
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